mercoledì 31 gennaio 2007

Le ultime da San Briccio

Gli ultimi bollettini da San Briccio, ci raccontano per dovere di cronaca, riferiscono di una squadra che scende in campo al posto della Rebongia.
Si chiama Rebongia e si batte con onore per il primo posto, ma perde la finale e finisce seconda.
Lo spirito della Rebongia non può certo non riconoscere il merito di questi valorosi che hanno trovato la voglia per difendere i colori incerti della sua gloriosa storia, ma questa volta la Rebongia è arrivata in finale e non si è potuta giocare le proprie carte.

Ma forse, se non fosse stato per l’incidente della finale non giocata, nessuno avrebbe mai conosciuto questa storia.

martedì 30 gennaio 2007

Le ultime

Gli ultimi bollettini da Lignano Sabbie d’Oro parlano del Giana trovato in macchina alle sei del mattino (dopo tre ore che aspettava gli altri) con dei temibili occhi da gufo, del Recia che per sbaglio due del gruppo recuperano sulla strada dell’albergo che torna scalzo, di uno che s’è portato dietro il Giana che non riesce a lasciare l’insostituibile appoggio di un albero, di Luca del Blue Moons che dopo aver raccolto denaro per le birre in un sombrero messicano ne combina di tutti i colori, del Recia (l’allenatore è il più scatenato) che ruba le card per le consumazioni di mano alla barista.
Vabbe’, che cosa ci possiamo fare?
Mandiamo un po’ di auguri agli sposi e ci prepariamo per il 6° Memorial Jenry.

venerdì 26 gennaio 2007

Capitolo quinto. La finale

Lo sapevamo, lo sapevamo già dall’inizio e ci scusiamo per aver mentito fino ad ora.
Ma sembrava impossibile poter arrivare in finale.
Oggi è il gran giorno, tutto è pronto, gli spalti sono gremiti, il campo è caldo per le finali minori che si sono già giocate.
Manca solo l’ultimo atto di questo 5° Memorial Jenry, solo qualche ultima sgroppata, una difesa attenta, un attacco efficace, ancora qualche emozione.
Ci sono due di quei foresti dell’altra sera alla ricerca vana di un mazzo di chiavi perso nella distrazione dell’ebbrezza.
Ma la Rebongia non c’è, nel senso che proprio non c’è.
La squadra al completo è al mare, a Lignano, a festeggiare l’addio al celibato del Loi.
Impossibile pensare di tornare in tempo, di partire dopo.
Tutte soluzioni ingestibili.

Il Loi si sposa, quel farabutto, e fa l’addio al celibato il giorno della finale della Rebongia, la prima della sua storia.
Ma questo l’abbiamo già detto.
Sono incredibili certe congiunzioni tra astri, pallone e goti che il destino è capace di mettere in campo a volte.
E così, dal podio di un torneo a cui teniamo molto, il torneo che porta il nome del nostro amico Jenry, la Rebongia si trova tra le sabbie d’oro di Lignano. Anche se le notizie che arrivano via sms parlano più di bar e bevute che di spiaggia e mare.
E pazienza che la due giorni organizzata con certosina precisione e infallibile anticipo da Paolino Albi sia andata bene, benone secondo i trentatre facinorosi partecipanti.
La finale è andata, e così il primo posto.

La partita persa a tavolino, le seconde e le terze in classifica che chiedevano di buttare via l’ultima partita del girone, tanto la Rebongia sabato non c’è.
Invece no, almeno quello.
La Rebongia va in finale con l’onore delle armi, con quello stesso onore delle armi con cui un buon nove o dieci sedicesimi della squadra si difende a birre in terra straniera a Lignano.
È così che arrivano i racconti di bar saccheggiati, o meglio, come dicono Albi e Pasetto, messi a ferro e fuoco dall’esercito dei trentatre.
Si muovono in squadra, come se il torneo non fosse distante centinaia di chilometri.
E per ogni chiosco che li vede arrivare sono momenti infausti.
Fusti e casse di birre finite, sono tanti trentatre serial drinker che non mollano l’osso neanche quando stanno per svenire.
E poi sotto un altro bar, e un chiosco, ci si perde e ci si ritrova, qualcuno nelle camere d’albergo, e poi fuori di nuovo.
La cena, la doccia e la discoteca.

mercoledì 24 gennaio 2007

Capitolo quarto. Dopo poche ore

Trentatre giovani paganti (cinquanta euro a cranio) stanno viaggiando a bordo di diverse macchine sull’autostrada A4 alla volta di Venezia.
Non è quella la loro destinazione, ma Lignano Sabbie d’Oro.
Partiti alla spicciolata, chi nella notte tra venerdì e sabato, chi il sabato mattina.
Sono trentatre persone che si conoscono, che hanno un unico obiettivo: festeggiare, mangiare, bere e fare disastri.
È già tutto pagato, restano fuori solo gli extra.
Tra i trentatre il Loi, Corà, Etto, Luca del Blue Moons, il Giana, il Recia, il Nico, Pasetto, il Cappone, Zeno.
Insomma, la Rebongia.

Intervallo

Anche la narrazione è qui costretta a interrompersi, si sminuirebbe altrimenti l’impresa e si perderebbe quel gusto della vittoria che solo chi ha giocato nella Rebongia, oggi o in passato, può capire.

martedì 23 gennaio 2007

Capitolo terzo. Il Camilion

Alla terza c’è il Camilion.
La Rebongia sa che può farcela, arrivare all’impensabile traguardo della finale.
L’arbitro non ha ancora fischiato e la Rebongia è già in vantaggio: segna Corà, esulta alla Tardelli.
Poi scende la sera, che non si porta via il caldo. Cinque minuti di distrazione di giugno, a immaginare qualche bikini sulle spiagge dorate della riviera, ed ecco: stiamo perdendo due a uno.
L’avevo detto,vuoi vedere che capita come al solito che sei sicuro di vincere e la prendi sotto gamba e anche in quel posto.
Sta di fatto che la Rebongia stasera è al completo.
Rientrano Luca del Blue Moons e il Lele Bussinelli, il Bomber torna stanco del lavoro e non ce la fa. Sarà per la prossima. Resta dietro la panca con la Silvia a fare il tifo.

In campo la disposizione sembra meno solida delle altre partite.
Dietro, il Lerio accusa la ciocanela del giorno passato, affianco a lui il Giobo, poi Etto, il Checca, presto sostituito dal Lele.
Luca del Blue Moons è ancora in panchina.
Recia, allenatore dei me coioni, cosa ci fa Luca in panca?
Dentro Luca.
Là davanti le cose cominciano a muoversi. Luca gira al volo di sinistro da fuori area, alto di poco ma ci siamo.
Un po’ più di aggressività, grida la panchina.
Pronto il presidente butta giù un altro sorso di birra. Dai ragassi che ci li abbiamo in pugno, siamo arrivati fin qua, adesso ci meritiamo la finale.
Il caldo non molla.
Un po’ di aggressività, forza. Dai!
Il Nico, sulla destra, spinge un po’, ruba palla, è dentro l’area, scarica il destro, e siamo due a due.
L’arbitro fischia. Tutti a rinfrescarsi.

C’è ancora poca gente, stasera la Rebongia gioca per prima. Le altre squadre cominciano ad affollare gli spogliatoi per cambiarsi, le morose dei calciatori fanno amicizia, i fusti di birra funzionano alla perfezione.
Il bar della Cirilla rimane vuoto, se non fosse per un gruppo di foresti che arrivano a festeggiare a bianchi un compleanno.
Al bar delle Pantere qualche anima in più, il Quinta con la camicia aperta soffre la sera calda, i goti devono averlo acciaccato.
La Cirilla siede sulla sua sedia, incuriosita dagli stranieri che frequentano il locale.
Ma torniamo al campo.

Si gioca l’ultima partita del girone Uno, e se la Rebongia vince va in finale per il primo posto.
Non importa quello che fa la Pizzeria Roma, sta solo a noi decidere se vogliamo prenderci le nostre rivincite.
Si torna in campo che sono le nove, la formazione è quella dei giorni migliori. In panca Zeno, il Cappone, ora il Checca, il Cieno a far da spettatore.
Non ci si crede che per una volta che la Rebongia è a un passo dalla finale butti via tutto. Non può andare a finire così.
Il Recia dispensa gli ultimi consigli, ormai è solo il cuore che conta.
Dai ragazzi!

Davanti c’è un bel movimento, con il Nico che parte da distante e il Zano che minaccia il tiro da lontano e Luca che fa casino al limite dell’area.
Non lo tiene nessuno.
Qualche spettatore, mi ci metto in mezzo anch’io, si distrae, un po’ il caldo un po’ la sete. Ci si sposta ai chioschi, si assalgono i baristi, cazzo se stasera non funzionano i fusti vien fuori un casino.
Avanti allora!
Torna dai!
Corri forsa!
Le grida del presidente riecheggeranno per alcuni giorni nella testa dei presenti.

Luca del Blue Moons non lo tiene più nessuno. È la sua prima partita quest’anno, e infila due gol di quelli che a descriverli perderebbero significato.
La partita sembra più corta delle altre. Si consuma tutto in fretta, via rapido.
La Rebongia è in finale, con un bel quattro a due meritato sul Camilion. Siamo la squadra da battere. Non ce n’è per nessuno quando la Rebongia è al completo.

Festa grande dietro alla panchina e tra i tavoli e i chioschi. Il presidente sta già ordinando la “sostituta della ghiacciaia” da riempire di birra. Ha portato i suoi ragazzi alla finale, dopo le traversie degli anni scorsi vissute con le altre squadre. Una bella rivincita per il presidente, in questo venerdì sera che pochi si scorderanno.
Nonostante il caldo i panini con la salsiccia cominciano a circolare e a odorare San Briccio.

Il Memorial Jenry ha già la sua prima finalista, si chiama Rebongia ed è la nostra squadra.
I giocatori restano ancora seri, come dopo la partita precedente. Forse quel qualcosa di strano nell’aria non è ancora svanito.
Cosa sta per succedere?
Sui tavoli c’è festa e la birra dà un po’ di sollievo dall’estate che arriva prepotente e profuma di tiglio i paesi.
Ma i ragazzi della Rebongia sembrano agitati, si spostano rapidamente, bevono e mangiano in tavoli diversi, sembra che stiano organizzando qualcosa: chi scrive, chi telefona, chi scappa via.
Ma come? La sera che siamo arrivati in finale ragazzi: non è mai successo prima, ora bisogna prenderci quello che ci spetta.
Niente da fare, che rabbia per gli spettatori affezionati che vorrebbero vedere la squadra bella e festosa come in quella storica giornata del 2002, la giornata delle 14 ore di fila al Blue Moons.
Siamo invecchiati? Cosa succede?
Quella cosa strana nell’aria circola ormai assieme al profumo della cipolla e a qualche bestemmia che proviene dal campo, dove sono cominciate le altre partite.

Pasetto, il direttore sportivo, si danna tra un tavolo e l’altro alla ricerca di chissà che. Paolino Albi raccatta soldi un po’ da tutti, il Giana non si vede. Ok che è venerdì sera, ma la gloriosa storia della Rebongia non è così che si onora!
Qualcuno grida Viva gli sposi!, ma non ci sembra il momento degli scherzi. Domani è sabato, il giorno della finale.

lunedì 22 gennaio 2007

Capitolo secondo. C’è qualcosa di strano nell’aria

Spiace per la narrazione, ma la seconda partita è cosa seria.
C’è la Pizzeria Roma e la Rebongia non ci sta a perdere.
Brucia ancora la sconfitta immeritata del 2004.
La Pizzeria Roma è evidentemente in calo fisico negli ultimi anni, dopo gli exploit dei primi Memorial, ma sugli spalti c’è poca convinzione.
Sembra che debba andare anche stasera al solito modo.
La notte è calda, si suda ancor prima di cominciare, le altre squadre si sono già riversate ai chioschi e si riconoscono per i capelli bagnati freschi di doccia e una fame che neanche la salsiccia riesce a placare.
Nell’aria c’è qualcosa di strano.

Dopo il primo turno questa è la situazione: la Pizzeria Roma conduce il girone con tre punti, la Rebongia segue con due avendo vinto ai rigori, chiudono il Camilion a uno e il Bar Jenry a zero.
Il Camilion stasera usa la tattica predicata dal nostro presidente: tirare da fuori. Ce la fa, rimonta storica e il Bar Jenry resta a zero punti.
La tensione sale, ci si conta.
Mancano ancora il Fera e il Lele Bussinelli, al mare, il Cappone, a Milano, manca il Cieno, manca Luca del Blue Moons.
Abbiamo però il Mode, che dà qualche cambio e un po’ di qualità al centrocampo.
L’arbitro si chiama Riki, ce l’ha scritto in bianco sulla casacca nera d’altri tempi. Ha una faccia dura ma si rivela cordiale. Raggruppa seriamente i giocatori della Rebongia e li redarguisce: cambi rapidi, si entra quando chi viene sostituito è già fuori, calma, niente casini, correttezza.
È un unico coro: Ok.
Il Lerio oggi c’è, speriamo sia in forma, di certo non attento: cos’alo dito?
In panchina diverse morose, quella del Lerio, di Zeno e del Nico, silenziose in adorazione dei loro campioni.
Il guardialinee dalla nostra parte è Brunetto, scalzo per l’occasione, ha il buon senso di non fumare, ma della birra il guardialinee sembra non poter fare a meno.
Gianandrea non c’è, ha dato forfait, è quasi un bene per la concentrazione della squadra.

Il Recia dispone i ragazzi con ordine.
Davanti al Loi il Giobo e il Lerio e Corà, poi il Zano, Etto, il Checca e il Nico. In panca Zeno e il Mode. Si parte, e il presidente non è ancora arrivato.
La partita è spigolosa ma corretta.
La Pizzeria Roma indossa una casacca blu perché la maglia è uguale alla nostra, o meglio la nostra, raccattata all’ultimo, è uguale alla loro storica. Gli avversari si lamentano del caldo che fa quella cosa addosso.
Qualche tiro da fuori, ma il risultato non si sblocca.
Il Nico cerca il numero di tacco, niente.
Avanti la Pizzeria Roma, ma la Rebongia là dietro è bella in ordine.
Finisce il primo tempo, i tifosi della Rebongia esultano come per una vittoria, non abbiamo preso gol dalla Pizzeria. Crediamoci, dai che vinsemo, ma si dai la Pizzeria va a finir che la ne ciava sempre.
Non è detta l’ultima parola.

Arriva il presidente, quanto siamo?
Zero a zero, bene dai manteniamo il risultato.
Di nuovo in campo.
Fallo veramente inesistente, e non è perché siamo tifosi, vicino all’angolo destro della porta difesa dal Loi.
Il Tia Cobelli prende la rincorsa. Ci ha detto che era ubriaco dalla giornata, in fondo è il rischio di queste partite di sera tardi, come in quella gloriosa finale per il terzo posto qui al Memorial Jenry, giocata in un giorno dei Mondiali del 2002: 14 ore di bar della Rebongia al completo e la sera sconfitta memorabile. Lì per lì gli abbiamo creduto al Tia, ma adesso si è dimenticato tutto.
Prende una lunga rincorsa e noi dalla panca vediamo già il buco dove si va a infilare la palla. La barriera non può fare più di tanto. Il buco è già pronto a ricevere la palla, e fa compagnia al Loi alla sua destra.
Parte il Tia e segna.
Si è messa come gli altri anni, la Rebongia attacca e la Pizzeria castiga.
Ma i ragazzi oggi hanno qualcosa di diverso.

La difesa regge bene col rientro del Lerio, il Giobo si è ripreso dai tacchetti piantati nella coscia.
Corà riprende un po’ di fiato.
Dentro Zeno e anche il Mode.
Etto si siede in panca, anzi no.
Arriva il Cieno, quest’anno non ce la fa ad essere dei nostri, e non si siede neanche lui.
Il Recia si muove nervoso sulla linea dell’out, non si vede più un’ostia. Brunetto impreca e promette una soffiata all’arbitro se le due riserve, il mister e il Cieno non si tolgono dalla linea.
Noi siamo d’accordo perché non si vede più la partita nella metà campo sinistra.
Rientra in campo Etto, giusto in tempo per scappare via sulla sinistra.
Tifosi e morose in piedi, non c’è altro modo di vedere.
Tiro cross di sinistro, sembra destinato al fondo, ma arriva il Nico come un falco e da pochi passi la scarica dentro.
Siamo uno a uno Pizzeria, stasera non la vendiamo a pochi soldi!
Mancano dieci minuti, ai tifosi della Rebongia sembra un mezzo miracolo, ma a questo punto tanto vale provarci.
E giù discese da una fascia e dall’altra, la difesa insiste senza sbavature.
Il Nico a tener palla là davanti, ma senza fortuna.
Poi la svolta.

Rilancio del Loi, il Nico la mette giù di petto, quasi a memoria la gira verso destra, arriva il Zano e la palla sta già tornando fuori dalla rete, dopo aver colpito la traversa, essere ricaduta sulla linea ed essersi insaccata alle spalle del portiere avversario, meglio conosciuto come imitatore di Celentano.
Fa due a uno per la Rebongia.
Nell’aria c’è qualcosa di strano.
Se si vince questa, considerato che la prossima sulla carta è una partita facile, con la Rebongia che dovrebbe essere al completo, beh, ci siamo capiti, vuol dire finale per il primo posto, non è mai capitato in quattro anni.
La Rebongia continua ad attaccare, c’è ancora il tempo per prendere un palo. Arbitro fischia!
Cazzo Nico, era il colpo del ko.
Fischia arbitro!
Niente, mancano ancora pochi minuti, ma la parabola della Pizzeria Roma è ormai nettamente in discesa, i Cobelli non pungono più come in passato, la difesa lascia qualche spazio.
Fischia arbitro!
La tensione sale.
Il gioco è fermo, meno di un minuto dice Riki con la sua faccia da duro.
Si riparte, ultimo arrembaggio della Pizzeria Roma, la difesa tiene, con qualche spintoncino del Lerio.
Forza ragazzi grida il presidente, ancora i tifosi non ci credono, si aspetta la beffa da un momento all’altro.
Etto, tornato a dar man forte indietro, rilancia un pallone a campanile, come si diceva una volta. Che non fa a tempo a toccare terra perché l’arbitro ha già fischiato la fine.
Grandi ragazzi, è un mezzo miracolo!

Se si vince la prossima si va in finale. Ormai non costa niente crederci.
Tutti ai chioschi a festeggiare.
Stasera non c’è neanche un tavolo libero. La Rebongia ha giocato per ultima e le altre squadre sono ormai sedute da qualche mezzora con pile di bicchieri di plastica vuoti incastrati gli uni negli altri.
La notizia arriva come una pugnalata: è finita la birra, ci sono dei fusti, ma sono caldi, quasi imbevibili.
Bestemmie.
I giocatori sono ancora negli spogliatoi, all’oscuro del problema. Qui senza birra si blocca tutto, rischia di saltare il torneo. Man mano che i calciatori della Rebongia escono vengono messi al corrente del fattaccio, che appanna un po’ perfino la storica vittoria.
Il presidente ripiega subito sul vino nero, invita i suoi ragazzi alla calma, a passare una settimana buona a fare l’amore, ad ubriacarsi, a lavorare.

Il Cuca e l’Alice stasera devono aver bevuto un bicchiere in più. Sono sul campo da tennis, affianco a quello da calcio, che giocano con una pompa dell’acqua. Che ogni tanto qualcuno apre di nascosto inzuppandoli dalla testa ai piedi. Per qualche minuto attirano anche l’attenzione dei tanti bambini che tirano calci a un pallone dopo la fine delle partite. Poi i genitori se li vengono a riprendere. C’è anche la bionda Cia, che si porta via il suo Luca vestito con la maglia della Svezia.
È finita la birra, i ragazzi non hanno trovato posto ai tavoli e si sono dileguati un po’ tutti.
La Rebongia sembra una squadra seria stasera.
Anche il presidente è molto determinato, vuole andare in finale. Ci crede. Porta un altro giro di nero.
I giocatori partono, verso le discoteche, il lago di Garda. Stasera quello che si doveva fare lo si è fatto.

Ma nell’aria resta qualcosa di strano.

mercoledì 17 gennaio 2007

Capitolo primo. L’esordio della Rebongia

Spuntano nella notte fredda di San Briccio personaggi leggendari che nessuno ricorda di aver visto negli ultimi tempi. Dinamite barcolla con il suo bicchiere di birra nella mano, il Peio addirittura fa parte di una squadra, pezzi di Brigate Gialloblù restano appoggiati al banco della baita di legno e chiamano birre e insultano il barista. Su una panchina chiacchierano ormai da ore il Cuca e l’Alice, nessuno riesce a immaginare di cosa, mentre dalle piastre sale il profumo di salsiccia e cipolla.
Ha inizio il 5° Memorial Jenry e la Rebongia sta entrando in campo.

Mancano come da tradizione sei o sette della rosa ufficiale, e il malumore già serpeggia tra i giocatori più assidui dei campacci di calcio della provincia veronese.
Guardialinee e sedicente allenatore Gianandrea, con una birra in mano e la cicca nell’altra, e la bandierina incastrata nella rete che delimita il campo, ma non così tanto da impedire che un pallone finisca ogni cinque minuti nella valle di sotto.
Affianco il Recia, detto Oco, altro allenatore, un po’ più attento alla squadra a dire il vero, impossibilitato ad essere in campo per ripetuti infortuni sempre qui a san Briccio, e conseguenti operazioni al menisco.
In porta il Loi, rimessosi dalla botta del recente volo in bicicletta.
In difesa Corà, riccio di stanza al Blue Moons, sembra un po’ a corto di fiato, ma l’ottimismo di ogni inizio passa sopra anche a questo.
Affianco il rosso Giobo, reo di aver sbagliato un rigore a una finale per il quinto o il terzo posto di qualche anno fa.
Poi Etto, curatore di immagine delle nuove generazioni lavagnesi e non solo. Incredibile, c’è anche il Bomber, che non sembrava dover prendere parte al torneo: là davanti a presidiare l’area avversaria, a dare e prendere botte. Quasi sempre a zero nella classifica cannonieri di fine torneo.
Il Nico, la garanzia, detentore negli anni scorsi del titolo di goleador della Rebongia e una volta anche del Memorial.
Il nostro George Clooney si chiama Zano e gioca a centrocampo, ma tende a spingersi in attacco.
In panca aspettano il loro turno Zeno, terzino di fascia, il Checca, stopper, il Kappone, titolare della Skavakappen, lottatore di altri tempi.
La divisa è gialla e verde, recuperata all’ultimo momento chissà dove.

Il Recia si muove velocemente sulla linea dell’out, il Giana si infastidisce con gli spettatori, che non riesce a convincere a portargli un’altra birra.
L’arbitro fischia.
Di fronte una squadra di giovani di san Martino, il Bar Jenry, molti volti conosciuti. Giovani di belle speranze e dalla parvenza atletica.
Alla Rebongia mancano il Lerio, il Cieno, il Fera, il Lele Bussinelli, Luca del Blue Moons. Insomma un bel pezzo di squadra.
Si suda, nessuno compra l’acqua.
All’improvviso, da qualche bar dell’Est veronese, arriva Paolo Composta. Neanche il tempo delle presentazioni e si proclama presidente della Rebongia, e ubriaco. Non riesce a restare fuori dal campo: grida, inveisce, insulta l’arbitro, sostiene i giocatori.
Abbiamo un presidente, la Rebongia ha un presidente.
Ma chi è? Dai, lo conosciamo tutti Composta, lo conosciamo da anni.
Ma non è legato alle altre squadre? Sì, ma Gianandrea, in un’escursione notturna, l’ha invitato a prendere il posto del vecchio presidente, “il presidente” appunto, che ormai da anni si è chiamato fuori da queste zone troppo popolari e poco alla moda.
Chissenefrega.
La Rebongia ha un presidente; Composta corre a soccorrere il Giobo, che ha due tacchetti piantati in una coscia.
Fuori il Giobo, non ce la fa, resta in panca fino alla fine.

Arriva Pasetto, organizzatore della Rebongia, direttore sportivo potremmo chiamarlo, e porta l’acqua: troppa, tra poco si finisce e i giocatori si butteranno sulla birra ai chioschi.
Intanto siamo due a uno per il Bar Jenry.
Il primo gol l’abbiamo preso con un po’ di responsabilità del Loi e della difesa, un tiro al volo da poco dentro l’area. Pareggio del Zano con gran destro da fuori. Poi raddoppio del Gigi per la squadra di san Martino.
Ma la Rebongia non ci sta, in panchina arriva il Lerio, subito insultato dai compagni per il solito ritardo, era capitato lo stesso gli anni scorsi. Non ha neanche il tempo per cambiarsi.
Fallo da ultimo uomo, bestemmie contro l’arbitro che ammonisce e basta un giocatore avversario.
Punizione da più di venti metri, sulla destra. Parte Zeno, incredibile, no, finta, arriva il Nico, staffilata di destro che il portiere non vede neppure: due a due. Si va ai rigori.

I rigoristi sono cinque, il presidente arriva a centrocampo col Recia e i giocatori.
Etto, Nicola, Corà, Zano e il Loi.
Etto… sbaglia, cazzo, come l’hai tirato quel rigore?
Il portiere avversario si muove come Dudek, il numero uno del Liverpool che ha fatto perdere la finale di Champions al Milan. Una danza sul posto, poi di lato, poi qualche truffaldino passo in avanti.
Niente da fare, non sbaglia più nessuno.
Il Loi invece si allunga una volta a sinistra e una volta destra, la seconda si rialza con il pugno alzato, ha capito che può essere vinta. Poi va a tirare l’ultimo rigore, a prendersi tutta la gloria di questa prima giornata di torneo.
Il Cappone si lamenta: s’el vol far tuto lù…
Portiere a destra e palla a sinistra. Olè.

Dinamite ordina un’altra birra, il Ciori canta cori da stadio, le prossime due squadre sono già pronte ad entrare.
Con la solita maglia gialla la Pizzeria Roma, la bestia nera della Rebongia, mai battuta in quattro anni di Memorial Jenry; in bianco e rosso il Camilion. Ci dovrebbe essere anche il Tata, dopo che ha abbandonato la Rebongia, con cui si è rotto una gamba, ma non si vede.
Doccia veloce e poi birra e panini, birra, birra, birra.
Al tavolo si scopre la storia del presidente, uno dei componenti della mitica Rebongia dei tempi immemori di Lavagno. La vera Rebongia, dice qualcuno, ma il presidente non ha tempo, deve ordinare una nuova caraffa di birra per la sua squadra, i suoi ragazzi. Nel frattempo tira quattro calci a un pallone e rischia di uccidere un bambino. Ma il presidente è legittimato, evviva il presidente.
Riappare come da un sogno la “ghiacciaia”, anche se non quella originale, il vero trofeo dalla Rebongia, da cui sono stati bevuti litri di birra misti ad acciaio ossidato. La prima coppa della Rebongia, per il quinto posto al primo Memorial Jenry, ricevuta assieme al premio Fair Play, un po’ meno gradito a dire il vero.
Il Bomber trova un motivo per andare via arrabbiato, sarà per la sua nuova dieta vegetariana e l’adesione al buddismo.
La seconda partita è finita e il campo di san Briccio aspetta stanco le prossime due squadre.

Breve cronaca di parte del 5° Memorial Jenry

Al Jenry

Questo racconto è frutto di pura fantasia, i nomi sono inventati, e se per qualche ragione qualcuno dovesse sentirsi offeso e dimostrare che San Briccio esiste davvero, beh, ci faccia sapere, che magari davanti a un bicchiere la cosa si risolve

martedì 16 gennaio 2007

Camacho


Camacho non esce mai nelle foto. E’ troppo ubriaco per stare fermo e centrare l’obiettivo. Si trascina nel bar seminterrato ***Fou, scontrando i muri stretti e i francesi che ordinano, accompagnato dall’amico Gregorio. Normalmente deve portare con freschezza i suoi sessantanni, stasera un po’ stropicciati dall’alcol e dai cubatas. Camacho è mezzo cubano e mezzo andaluso. Vive qui a Colmar, in Alsazia, da decenni, scappato alle persecuzioni di Franco per l’appartenenza al partito comunista, di cui mostra orgoglioso la tessera. Tra lui e il giovane Gregorio, una moglie e due figli, mezzo spagnolo, di Madrid, e mezzo italiano, di Cosenza, c’è qualcosa che non si capisce bene. Si abbracciano e si difendono come due vecchi amici ubriachi che dovunque si trovino ne hanno viste sempre di peggio. Abbracciati e barcollanti. Camacho pare che cada ogni due minuti, si accartoccia contro la parete, poi si rialza e sfodera collezioni di gesti volgari e di porcherie a sfondo omosessuale che ha imparato dall’italiano. Beve cubatas a ripetizione, ordinati da Gregorio, e sfida chiunque entri nel ***Fou. Alla fine non parla né francese né spagnolo, e tantomeno l’italiano. La giacca di pelle appoggiata sulle spalle come una vecchia puttana a fine serata. Gregorio cerca di calmarlo quando si infervora, e intanto rivendica le sue origini italiane, abbracciando con fare di sfida chi gli capita a tiro. Il locale sta chiudendo, tra luci rosse e blu, il barista offre un giro di Jagermaister agli ultimi avventori mentre ribalta gli sgabelli sul bancone. Fuori fa freddo e si innesca una mezza rissa. Ma qui in Alsazia nessuno ha voglia di andare a letto con la testa rotta. Dopo pochi minuti per strada non c’è più nessuno.