Camacho
Camacho non esce mai nelle foto. E’ troppo ubriaco per stare fermo e centrare l’obiettivo. Si trascina nel bar seminterrato ***Fou, scontrando i muri stretti e i francesi che ordinano, accompagnato dall’amico Gregorio. Normalmente deve portare con freschezza i suoi sessantanni, stasera un po’ stropicciati dall’alcol e dai cubatas. Camacho è mezzo cubano e mezzo andaluso. Vive qui a Colmar, in Alsazia, da decenni, scappato alle persecuzioni di Franco per l’appartenenza al partito comunista, di cui mostra orgoglioso la tessera. Tra lui e il giovane Gregorio, una moglie e due figli, mezzo spagnolo, di Madrid, e mezzo italiano, di Cosenza, c’è qualcosa che non si capisce bene. Si abbracciano e si difendono come due vecchi amici ubriachi che dovunque si trovino ne hanno viste sempre di peggio. Abbracciati e barcollanti. Camacho pare che cada ogni due minuti, si accartoccia contro la parete, poi si rialza e sfodera collezioni di gesti volgari e di porcherie a sfondo omosessuale che ha imparato dall’italiano. Beve cubatas a ripetizione, ordinati da Gregorio, e sfida chiunque entri nel ***Fou. Alla fine non parla né francese né spagnolo, e tantomeno l’italiano. La giacca di pelle appoggiata sulle spalle come una vecchia puttana a fine serata. Gregorio cerca di calmarlo quando si infervora, e intanto rivendica le sue origini italiane, abbracciando con fare di sfida chi gli capita a tiro. Il locale sta chiudendo, tra luci rosse e blu, il barista offre un giro di Jagermaister agli ultimi avventori mentre ribalta gli sgabelli sul bancone. Fuori fa freddo e si innesca una mezza rissa. Ma qui in Alsazia nessuno ha voglia di andare a letto con la testa rotta. Dopo pochi minuti per strada non c’è più nessuno.