venerdì 26 gennaio 2007

Capitolo quinto. La finale

Lo sapevamo, lo sapevamo già dall’inizio e ci scusiamo per aver mentito fino ad ora.
Ma sembrava impossibile poter arrivare in finale.
Oggi è il gran giorno, tutto è pronto, gli spalti sono gremiti, il campo è caldo per le finali minori che si sono già giocate.
Manca solo l’ultimo atto di questo 5° Memorial Jenry, solo qualche ultima sgroppata, una difesa attenta, un attacco efficace, ancora qualche emozione.
Ci sono due di quei foresti dell’altra sera alla ricerca vana di un mazzo di chiavi perso nella distrazione dell’ebbrezza.
Ma la Rebongia non c’è, nel senso che proprio non c’è.
La squadra al completo è al mare, a Lignano, a festeggiare l’addio al celibato del Loi.
Impossibile pensare di tornare in tempo, di partire dopo.
Tutte soluzioni ingestibili.

Il Loi si sposa, quel farabutto, e fa l’addio al celibato il giorno della finale della Rebongia, la prima della sua storia.
Ma questo l’abbiamo già detto.
Sono incredibili certe congiunzioni tra astri, pallone e goti che il destino è capace di mettere in campo a volte.
E così, dal podio di un torneo a cui teniamo molto, il torneo che porta il nome del nostro amico Jenry, la Rebongia si trova tra le sabbie d’oro di Lignano. Anche se le notizie che arrivano via sms parlano più di bar e bevute che di spiaggia e mare.
E pazienza che la due giorni organizzata con certosina precisione e infallibile anticipo da Paolino Albi sia andata bene, benone secondo i trentatre facinorosi partecipanti.
La finale è andata, e così il primo posto.

La partita persa a tavolino, le seconde e le terze in classifica che chiedevano di buttare via l’ultima partita del girone, tanto la Rebongia sabato non c’è.
Invece no, almeno quello.
La Rebongia va in finale con l’onore delle armi, con quello stesso onore delle armi con cui un buon nove o dieci sedicesimi della squadra si difende a birre in terra straniera a Lignano.
È così che arrivano i racconti di bar saccheggiati, o meglio, come dicono Albi e Pasetto, messi a ferro e fuoco dall’esercito dei trentatre.
Si muovono in squadra, come se il torneo non fosse distante centinaia di chilometri.
E per ogni chiosco che li vede arrivare sono momenti infausti.
Fusti e casse di birre finite, sono tanti trentatre serial drinker che non mollano l’osso neanche quando stanno per svenire.
E poi sotto un altro bar, e un chiosco, ci si perde e ci si ritrova, qualcuno nelle camere d’albergo, e poi fuori di nuovo.
La cena, la doccia e la discoteca.